Per gran parte delle persone, per chi non ha la fortuna (ha la sfortuna) di fare un mestiere come il mio, di stare a contatto con loro, il dramma dei migranti oggi è diventato solo un titolo da copertina, una manciata di parole, un bel racconto per immagini al tg delle venti, poco prima della cena e dello show serale. Niente di più.
E’ successo come con certi antibiotici, a forza di assumerli non funzionano più. Il corpo si adatta, i batteri si fanno più resistenti, si selezionano, le difese immunitarie si abbassano e, nel frattempo, le infezioni dilagano e diventano epidemie. Con i migranti funziona allo stesso modo: a forza di sentire quelle parole, di vedere quelle fotografie e quei video, ci si abitua, si cade nell’errore di ridurre tutto, appunto, a video, fotografie e parole. Si finisce per dimenticare che davanti agli obiettivi, in mezzo al mare, sugli scogli, a bordo delle motovedette, ci sono persone. Padri, madri, figli. Unici e preziosi come ogni essere umano. Con dei legami, dei sentimenti, dei ricordi e delle prospettive. Nomi e cognomi, e storie.
Proprio per noi e per i nostri amici e parenti, dietro ciascuna delle persone inquadrate c’è una comunità che li ha visti nascere, crescere e partire. E che adesso aspetta loro notizie, da qualche parte del mondo, ogni sera. Quei barconi affollati, abbandonati in mezzo all’acqua, sono invece per noi, ormai, delle identità collettive. Un <<oggetto>> unico, fatto di un’imbarcazione e cinquecento ombre, nessuna delle quali è più capace di suscitare la curiosità, l’empatia, la pietà che ogni essere umano deve pretendere dagli altri.
Pietro Bartolo, medico a Lampedusa