FARA SABINA 2006 : " le dimensioni della povertà"

Vivere le dimensioni della povertà, ascoltare il povero e amare senza misura sono le forti motivazioni che ci vengono da chi ha dedicato la propria vita al povero

Nel ritiro presso il Monastero delle Clarisse Eremite il Seami si è chiesto come attuare nella vita quotidiana questi propositi, e per trovare la risposta ha preso spunto dalla vita e dalle parole di Francesco d’Assisi, che si è fatto povero, di Daniele Comboni, missionario in Africa, di Oscar Romero, martire, e di don Tonino Bello, vescovo che nella vita si è spogliato di tutto.

____________________________________________________________________________________

FRANCESCO E IL POVERO

La povertà involontaria, quella dalla quale è tormentata la stragrande maggioranza dei poveri, è una cosa vergognosa, infame, indecorosa: qualcosa che non si può né amare né tollerare, una condanna che non si può non ritenere ingiusta anche perché in effetti è molto spesso conseguenza di una qualche ingiustizia. 

E attenzione: la povertà non è una condizione assoluta, non coincide con la mancanza dei beni. Essa  è la conseguenza di una situazione relativa, della tangibile disparità all’interno di uno stesso sistema. Fra tutte le condizioni di povertà involontaria, quella di chi non possiede la salute è una delle più terribili. L’ammalato è si direbbe strutturalmente disposto all’invidia per chiunque sia sano: anche perché la sua condizione gli appare come il frutto dell’ingiusto arbitrio di forze incontrollabili che così lo hanno ridotto. 

Francesco ha a che fare con un povero ammalato che è anche malvagio: tanto da farlo sospettare posseduto. Ma perché mai uno che manca di qualunque bene di fortuna e della stessa salute dovrebbe essere mite, gentile, cordiale, magari sorridente? Però, nella pagina dei Fioretti che con la solita discrezione racconta il “miracolo” (il Povero di Assisi di solito non fa miracoli), qui siamo piuttosto dinanzi a una dura lezione etico-pedagogica.  Il santo si dichiara al servizio del malato, il quale – scoppiando di odio nei confronti di tutto e di tutti – immediatamente ne approfitta per umiliarlo e tormentarlo: vuole che egli si pieghi alla bisogna più umile e ributtante, il lavargli le piaghe; e, mentre Francesco lo serve, lo costringe ad assistere anche allo spettacolo delle brutture morali della sua anima, più ributtanti ancora di quelle del corpo, fino a quella che per il santo (devotissimo al Nome di Dio) è la cosa più orribile, la bestemmia. 

Ed ecco che il vero miracolo non consiste nel risanamento fisico delle piaghe al contatto della mano di Francesco, bensì nell’atteggiamento fermamente umile del santo che in nessun modo si lascia irritare o distogliere dal blasfemo comportamento del suo interlocutore. Fra i due si stabilisce una specie di gara durissima e serrata, un vero e proprio braccio di ferro. II vigore spirituale e la fermezza morale di Francesco  finiscono con l’aver ragione del bestemmiatore e col piegarlo fino alla conversione. E nulla è più lontano dal cristianesimo della debolezza: in qualunque circostanza, in qualunque contesto. La scelta di povertà mette e san Francesco in una posizione di vicinanza e di compassione nei confronti di coloro che soffrono l’indigenza, a cominciare dai più colpiti dalla emarginazione che nel suo tempo erano i lebbrosi

 

___________________________________________________________________________________

 OSCAR ROMERO: UNA VITA DONATA AI POVERI

Oscar Arnulfo Romero vescovo di San Salvador viene ucciso mentre celebrava la Santa Messa il 24 marzo 1980. La fede è sempre stata per Romero la stella polare della sua esistenza, il centro di gravità permanente all’origine della sua vocazione, studio, missione, annuncio del Vangelo, custode della tradizione della chiesa e della capacità di porsi come difensore del popolo di Dio nei confronti di chi uccideva e massacrava coloro che facevano richieste legittime e umane. La sua spiritualità lo ha portato ad esprimere tale radicamento nella fede, coniugando la sua assoluta fedeltà al Vangelo con la scelta imprescindibile per i poveri.

Le sue parole, le sue omelie:  “E’ inconcepibile che alcuni si dichiarino cristiani e non facciano come Cristo una opzione preferenziale per i poveri. E’ uno scandalo che oggi alcuni cristiani critichino la chiesa perché pensa ai poveri”. (Omelia del 9 settembre 1979)

 “Quando disprezziamo il povero, coloro che raccolgono caffè, cotone o tagliano la canna da zucchero, il contadino che va in gruppo peregrinando a lavorare cercando il sostentamento per tutto l’anno, fratelli pensiamo, non lo dimentichiamo, in loro c’è il volto di Cristo. Volto di Cristo presente nei torturati e maltrattati nelle carceri. Volto di Cristo presente nei bambini che muoiono di fame perché non hanno da mangiare. Volto di Cristo presente nel bisognoso che chiede di aver voce nella chiesa”. (Omelia del 26 novembre 1978) 

 Il Cristo storico, presente nella storia come risorto e vivente, spinge la chiesa a rifare le sue scelte, a mettersi al fianco dei poveri per annunciare il regno di Dio a tutti.

 “Arriviamo adesso alla opzione preferenziale per i poveri. Non è demagogia è Vangelo puro. Se noi ci preoccupiamo della situazione dell’impoverito, del piccolo, non in un modo qualsiasi, ma perché rappresenta Gesù, perché la fede ci apre all’umile, all’emarginato, al povero, al malato. Guardare in essi Gesù è la trascendenza. Quando non si vede in esso che un rivale, un imprudente, qualcuno che viene a rovinarmi la festa, naturalmente il povero dà fastidio. Però quando si abbraccia nel modo in cui Cristo abbracciò il lebbroso, o come il buon samaritano cura il ferito lungo la strada, facendolo a loro, come se lo si facesse a Cristo, in questo consiste la trascendenza, senza la quale non è possibile una prospettiva di giustizia sociale, ovvero considerare Cristo presente negli impoveriti”. (Omelia del 30 settembre 1979)

 L’intuizione profonda di Romero: non ci può essere giustizia sociale se non riconoscendo Cristo nei poveri.

 Questo è l’impegno dell’essere cristiano: seguire Cristo nella sua incarnazione. E se Cristo è il Dio maestoso che si fa uomo umile fino ad accettare la morte degli schiavi e vive con i poveri, così deve essere la nostra fede cristiana. Il cristiano che non vuole vivere questo impegno di solidarietà con il povero, non è degno di chiamarsi cristiano”. (Omelia del 17 febbraio 1979)

 Vivere la verità del Vangelo significa per Romero guardare il cielo ma rimanendo fedele alla terra.

Romero aveva ben chiaro che l’amore di Dio in Gesù è per tutti, senza distinzioni. A tutti egli domanda: convertiti. Ma la strada della conversione è differente. Ai ricchi, potenti, possidenti richiede un cambiamento del loro modo di vivere: uno staccarsi dalla loro adorazione delle ricchezze e volgersi, essi stessi, a migliorare la condizione umana dei poveri.

 “Ciò che segna per la nostra chiesa, il limite della sua dimensione politica è precisamente il mondo dei poveri… a seconda che vada a vantaggio del popolo povero, la chiesa appoggerà a partire dalla sua specificità, l’uno o l’atro progetto politico… questo è quanto la chiesa desidera fare anche in questo momento della nostra omelia: appoggiare quanto dà beneficio al povero e denunciare tutto quanto è un male per il popolo”. (Omelia del 17 febbraio 1980)

Dunque la predicazione e la vita stessa di Romero sono stati buona notizia per i poveri.

 __________________________________________________________________________________

 

DANIELE COMBONI – MISSIONE E POVERTA'

 

Daniele Comboni  è il fondatore di due ordini di missionari oggi presenti in tutti i paesi poveri del mondo.

Dedicò la sua vita ai popoli africani, partendo per la prima volta a 26 anni con uno dei primi drappelli e facendo nella sua breve vita 14 viaggi, quando per arrivare in Africa interna occorrevano 3-4 mesi.

La sua vocazione missionaria ebbe inizio a 18 anni, quando nell’ambito di un movimento missionario divenne amico di uno schiavo sudanese acquistato dal suo padre spirituale in un mercato in Egitto e portato a Verona perché vivesse in libertà. Colpito dal dramma della schiavitù giurò di "consacrare la sua vita a Cristo in favore dei popoli africani fino al martirio".

Nel suo spirito missionario Comboni  sposa l’evangelizzazione con l’impegno per il rispetto dei diritti umani, per lui l’evangelizzazione ha un senso più ampio del semplice cristianizzare i pagani, comporta anche la liberazione dei mali sociali. La sua è l’evangelizzazione che Paolo VI definisce come "una relazione essenziale tra il Vangelo e la vita concreta della persona, sia personale che sociale", per questo la sua azione per i più poveri è stata sempre finalizzata a creare le condizioni perché potessero provvedere da soli al loro riscatto; per lui, in quel tempo, i più poveri erano gli africani, e per loro ha pensato il “Piano di rigenerazione dell’Africa" e a loro ha fatto dono della propria vita.

La scelta dell’opzione per i poveri lo ha fatto diventare missionario in Africa!

E’ stata quindi l’opzione per i poveri a cambiare la sua vita, la stessa opzione che spinse don Milani a dedicarsi ai ragazzi di Barbiana, che per lui erano emarginati dalla società, vittime di ingiustizie e di discriminazioni.

Entrambi hanno scelto di diventare loro stessi poveri per annunciare il Vangelo, entrambi si sono staccati dal loro mondo per andare verso l’altro, entrambi si son lasciati coinvolgere, entrambi hanno lavorato per rimuovere le cause della povertà.   

Non è quindi importante se il povero è a duemila chilometri o nella porta accanto, né se è schiavo o semplicemente escluso, l’importante è come ci si pone nei suoi riguardi.

Si può donare sé stessi  ma si può trovare un modo di gestire la propria vita che sia lo stesso sia per chi sta in missione, sia per chi vive la quotidianità del lavoro, della famiglia, delle attività sociali.

Si deve guardare il mondo con gli occhi dei poveri, che vuol dire vivere di umanità, di solidarietà, di disponibilità al sacrificio, di capacità di sognare.

 

___________________________________________________________________________

 DON TONINO BELLO : POVERTA' COME DENUNCIA (Tratto da "Sui sentieri di Isaia"


Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere.
Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell’accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali.

Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all’anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.
Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il Papa, nella "Sollicitudo rei socialis", ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato? Quella della povertà!
Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.

È un’educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi Padri della Chiesa: "Se hai due tuniche nell’armadio, una appartiene ai poveri”. Non ci si può permettere i paradigmi dell’opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze.La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.
Ma c’è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere. Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. È la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti. Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona. Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, si è fatto povero fino al lastrico dell’annientamento. L’educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara.
Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.

 

 

 ________________________________________________________________________

 

DA CHE PARTE STARE?

 Nati e cresciuti nell’emisfero Nord del pianeta Terra, ci sembra quasi scontato che la maggior parte dell’umanità viva alle prese con dei problemi enormi di sopravvivenza quotidiana.

Questo nostro atteggiamento di disinteresse, prova la sua massima espressione nel rifiuto di determinati valori che potrebbero radicalmente cambiare le cose della nostra vita. Da potenziali agenti profetici diventiamo, per abitudine o per accidia, difensori naturali di uno “status quo” che non può certamente dirsi fautore di una crescita della dignità umana. Così, dopo duemila anni di cristianesimo, i poveri diventano più ricchi sempre più ricchi. L’immersione nella società dei consumi ci ha allontanato sempre più dalla miserabile e povera del Terzo Mondo, vicino e lontano. Ci siamo perciò abituati a vedere i poveri e gli emarginati come un’accozzaglia da cui difenderci, dando loro tanti buoni consigli pieni di “buonsenso” ma che lasciano il tempo e trovano. E “dulcis in fundo”, per non rischiare di essere strumentalizzati da nessuna parte, ci siamo ben guardati dall’esporci e dal prendere posizioni radicali e sconvolgenti. Certo non sono mancati casi isolati di denuncia e di solidarietà, ma si può dire che nel suo insieme la nostra società non ha brillato per prese di posizione profetiche. La neutralità di fronte al povero e all’oppresso, non è certamente un atteggiamento cristiano. Come credenti o più semplicemente come uomini di buona volontà, dobbiamo scegliere da che parte stare. Se passando per una strada vedo un prepotente che percuote un debole, posso assumere atteggiamenti che qualificano la mia posizione:

1)   unirmi al più forte nel picchiare il debole;

2)   difendere il debole dalla violenza del più forte, magari rimettendoci qualche dente!

3)   tirare diritto per il mio cammino, per evitare di essere coinvolto.

Quest’ultimo atteggiamento viene definito “neutrale”, in verità non è altro che la tacita accettazione di un gesto violento ai danni di un inerme!

Diventa perciò importante scegliere da che parte stare, dimostrando con i fatti che coloro che soffrono angherie di ogni tipo possano trovare in noi delle persone sempre disposte a mettersi al loro fianco, al fine di affermare vigorosamente la dignità eterna dell’Uomo, perennemente calpestata. Finchè ci sarà un povero e un oppresso sulla terra, noi non potremo dormire sonni tranquilli e vivere nella nostra “dorata” neutralità. La scelta della difesa degli ultimi, ci porterà magari in situazioni difficili che potranno sembrare insostenibili per le nostre forze, ma è anche l’unica strada percorribile se si vuole vivere la solidarietà e non perdere ciò che abbiamo di più prezioso: la nostra dignità